Il fine di questo scritto è mettere in evidenza come le realizzazioni costruite in Italia nel secondo dopoguerra sotto il regime della legge Fanfani, lette alla scala appropriata, possono venire considerate come una risposta all'esigenza di attivare e arricchire l'uso e la percezione dello spazio aperto nella residenza. Esse possono diventare dei parametri qualitativi con cui confrontarsi, oggi, in veste di progettisti. Negli ultimi anni si può individuare una certa propensione a riaprire il dibattito sugli esiti del piano INA-Casa. Sono stati pubblicati alcuni scritti con contributi che riprendono in esame quel periodo dell'Italia post-bellica cercando di evidenziarne contenuti, valori e limiti. Ma il lato compositivo-spaziale degli spazi aperti nei quartieri INA-Casa è sempre stato generalmente liquidato dando spesso per buona la pubblicistica dell'epoca, che in genere fornisce informazioni che individuano sì la natura complessa dei progetti, i dati dimensionali o il registro linguistico, ma non esaurisce in maniera soddisfacente le effettive occasioni di abitare contenute all'interno di essi. L'espressione architettura tra le case che dà il titolo a questo scritto vuole allora indicare un preciso ambito di indagine: lo spazio che rimane al di fuori degli alloggi, dunque lo spazio aperto. L'architettura tra le case, luogo in cui "l'abitare si capovolge nel suo contrario: il suo punto d'avvio è l'uscire di casa. Ma questo uscire non è che l'altra faccia dell'abitare, tant'è vero che l'esterno nel quale esso ci immette riproduce la fisionomia dell'interno domestico, in altra scala, più grande, ma nelle medesime proporzioni." Luogo indispensabile, insieme all'alloggio, per rispondere alla totalità delle esigenze abitative.